Come riuscire a crescere In difesa del sistema delle società cooperative di Francesco Nucara Tra le tante "superficialità" di cui l’attuale governo sembra avere un’incosciente prerogativa troviamo le balzane idee di mortificare la cooperazione attraverso la penalizzazione fiscale delle società cooperative. Per i repubblicani, che sono gli antesignani della cooperazione sulla base del principio mazziniano, Capitale e Lavoro nelle stesse mani, la penalizzazione del sistema cooperativo appare come un’offesa alla propria storia e al buon senso. In un periodo di crisi come l’attuale limitare l’associazionismo attraverso la leva fiscale è un danno per il Paese in generale e per i giovani soprattutto. Il PRI ha avuto come riferimento di questo segmento di attività economica l’Associazione Generale delle Cooperative Italiane, nata nel 1952, che ha avuto come primo presidente Meuccio Ruini, laico liberale. L’AGCI, riferimento laico, nasce, come le cooperative cattoliche, da una scissione di cooperative aderenti alla Lega. L’inizio degli anni ‘50 era anche il periodo della guerra fredda, con tutte le conseguenze politiche che portarono alla nascita di mondi associativi, come l’AGCI, ENDAS e UIL, organizzazioni di orientamento laico. Per quanto riguarda l’AGCI, si ritorna a quel filone storico del mazzinianesimo di metà Ottocento che creò le condizioni dell’associazionismo repubblicano, da cui dopo il Patto di Fratellanza del 1870, nel 1895 nacque il PRI. Merito al Presidente Rosario Altieri per la mostra che si è svolta a Napoli il 28 settembre e che per tema ha avuto: "La mostra documentaria: 1868-1948. Dal Risorgimento alla Repubblica, da Giuseppe Mazzini a Giovanni Conti." Ed è giusto iniziare da Mazzini: "Un giorno quando noi avremo nome, e patria e libertà noi spiegheremo dinnanzi ai nostri fratelli il quadro gigantesco e sublime del progresso dello spirito d’associazione….". E’ questo il tema fondamentale: lo spirito d’associazione, che vale per le cooperative ma vale anche per noi repubblicani, che preferiamo l’anarchismo al convivere associativo. Si era nel 1832 e tuttavia quel concetto rimane di sconcertante attualità. A questo concetto ci dovremmo inchinare tutti, rinunciando, quando si dovessero manifestare, a devastanti egoismi. Già da metà dell’Ottocento si cominciarono ad associare individui che esercitavano "arti e mestieri simili". Ed è nello stesso periodo che nascono le prime società di mutuo soccorso propedeutiche alla nascita delle piccole banche rurali e artigianali. Il mondo economico e istituzionale non è più quello della metà Ottocento, ma se si conserva lo spirito di quel primo associazionismo, si può fare un piccolo passo verso un miglioramento civile, sociale ed economico delle classi meno abbienti, di modo che esse possano trovare il loro presente e il loro futuro nelle attività associative. Su questo spirito noi dovremmo compiere, politicamente, tutti i passi necessari affinché il mondo cooperativo possa crescere, con il supporto di coloro che si possono considerare gli eredi di Mazzini, il precursore delle attività associative. Certamente bisogna distinguere le cooperative vere e proprie che, ripetiamo, riuniscono Capitale e Lavoro nelle stesse mani, da quelle che sono diventate dei veri e propri colossi industriali, legate a filo doppio e divenute "cinghie di trasmissione" di specifici e noti interessi politici. In proposito ricordiamo un articolo di Ugo La Malfa su "La Voce Repubblicana" del 10 dicembre 1954 dal titolo "Le cooperative, il PRI e il PCI". Si riferiva specificatamente alla cooperativa CMC. Oggi colosso dell’industria delle costruzioni che, pur nascendo come cooperativa repubblicana, viene "sfilata" da pilotati e strumentali "ingressi" di cooperatori legati al PCI. La Malfa tra l’altro osservava: "Ma il patrimonio della Cooperativa muratori di Ravenna ammonta oggi ad alcuni miliardi e non solo i comunisti, ma altri partiti, non avevano troppo interesse a rafforzare l’organizzazione dei repubblicani in Romagna restituendo loro uno dei frutti più belli della loro operosità". Il concetto di cooperazione, proprio del mondo repubblicano, è ben distante, come vediamo, dall’essere "cinghia di trasmissione" di qualcuno. La sinergia che si deve creare con l’AGCI dovrebbe avere come obiettivo la comune crescita. Ripercorrendo il percorso della citata mostra a Napoli, terminiamo con quanto Giovanni Conti disse in una trasmissione radiofonica del 1945: "L’Italia è disfatta, gli italiani debbono rifarla: e la ricostruzione non è figura retorica. Deve essere un fatto e un fatto non sarà se una serie di azioni non prenderà il posto delle parole". A rifare l’Italia ci hanno pensato anche le cooperative con il loro lavoro quotidiano umile e oscuro. Potremmo dire, mutuando dal linguaggio calcistico, un lavoro da mediano. |